In lingue antiche che muoiono,
ci sono parole incastonate nella pietra
battute da duri scalpelli,
costretti in forti mani callose.
Parole straniere che illuminano
gli schermi di un mondo lontano,
navigabile e afferrabile con gli occhi.
Parole che volano con le mani
nella lingua dei sordi che parla anche
a loro con i suoni del sentimento
e con le grida della rabbia.
Parole che fanno rima,
parole che risvegliano l'ardore.
Parole di difesa e d'accusa,
parole bugiarde della giustizia.
Parole di pianto e di consolazione,
parole sante della verità.
Parole aride che fanno male,
parole che affratellano,
chiudono ferite e danno gioia.
Parole segrete che aprono
alle insidie della politica.
Parole che accendono lumi
di conoscenza e allettano studiosi.
Parole di poeta che risvegliano
tristezze e piaceri e inseriscono
tra vita e morte quel qualcosa
che ti porta fuori e nega il dolore.
Le parole con la loro potenza
incidono e plasmano la storia dell'uomo.
Nuvole come panna
nel cielo di un azzurro intenso
coprono appena una luna bianca
con la sua veste nuova.
Essa si offre come una geisha
avvolta in seta frusciante
che, con fredda raffinatezza,
sussurra versi in diciassette sillabe e
crea uno stato di desiderio non soddisfatto,
un mondo più prezioso della sua seta,
una situazione che si dilata
in incroci e confluenze strane
dove si distinguono un prima e un dopo
ma non il tempo che è.
Questo tempo, che non è vissuto
secondo l'orbita solare,
si apre al vuoto, al buio,
alla notte senza la quale
non potremmo vedere le stelle.
Solo un angelo può rapire
la malinconia da un cuore mesto.
Solo un angelo ti fa sentire
profumo di garofani
là dove non c'è amore.
Solo un angelo ti sazia
con la sua luce e spegne
la candela della morte che
lentamente ti sta consumando.
Dalle sue ali gocciolano stille
di sorrisi che i nostri figli,
boccioli appena nati,
raccolgono nelle piccole mani
correndo felici tra batuffoli
di nuvole gialle e rosa,
sorrisi che torneranno a noi.
Non ci può essere notte
là dove vivono gli angeli.
Qualcosa accade là fuori,
ma me ne sento tagliata via
come una foglia secca e macera.
Voglio mettere su uno schermo bianco
questa sensazione, questa tensione sospesa,
questa tristezza, questa solitudine,
questo qualcosa che non è visibile,
dissimulato a me e agli altri e
tuttavia sempre presente e pesante.
Vogliate catturare questo
sentimento negativo
voi, fili della ragnatela del web,
imprigionatelo nella rete e
offritelo come pasto al ragno,
consumatelo e liberatemene.
Il campanile della chiesa
è alto e antico,
lo cingono nuvole d'oro,
la strada sottostante
è ricoperta di catrame
e romba di motori moderni.
Questo contrasto assolve la città,
la libera dal tempo e dallo spazio
e non ne modifica la sostanza.
La città ovvero uomini insieme,
bisogno di accumulare e conservare
affetti e sostanze in un unico luogo,
deporre la fatica di cercare pascoli nuovi,
far fiorire la cultura e consacrarla,
venerare l'eterno attraverso la costruzione
di torri e palazzi sempre più alti.
Racchiudere tra mura una vita effervescente
ed elencare nuovi valori e solidarietà
da cui restano fuori solo quelli che
sentono troppo stretta la veste della città.
Tutto questo è la città mentre
ingrandisce il desiderio del semplice,
barrisce la sete del selvaggio e
l'istinto brama sapori di natura.
Ho travestito la memoria
per non abbandonare
a loro stesse le farfalle disfatte
dei ricordi infantili che porto con me.
Ho volato sopra le ombre
e non voglio tornare giù.
Non voglio tornare giù.
Qui mi fanno compagnia
questi fogli bianchi che
desiderano essere riempiti
del seme perduto da cui
nascono le gioie e le speranze.
Uso la penna come una zappa,
dissodo il terreno e libero
sulla candida pagina
tutto l'inchiostro più bello e colorato.
Descrivo visioni stupende,
trasporto la bellezza ai piedi degli uomini,
conforto i poveri animi spenti
e separo i sogni dai rimorsi.
Voglio spalmare fiducia
e tu, mia vena poetica,
non mi abbandonare
riscalda il cuore.